Due dei tre moschettieri hanno cambiato già da un po’ la palestra di karate dove allenarsi e ora fanno parte di un’altra squadra.
È stato
uno strappo difficile e complicato, sia per loro ragazzi che per noi genitori,
che in quell’ambiente, avevamo trovato tutto ciò che la parola “amicizia”
poteva racchiudere.
Sono stati
anni bellissimi che ci hanno fatto conoscere uno sport incredibile, un’ arte,
una cultura e anche una modalità di pensiero che ci porteremo sempre dentro .
Abbiamo fatto esperienze grandiose, che ci hanno reso orgogliosi di far parte
di questo mondo e nessuno di noi rinnega un minuto passato insieme a loro, ma
lo strappo che c’è stato era necessario e forse inevitabile.
Non tutti
hanno compreso il perché del cambiamento e molti non lo hanno nemmeno accettato,
i motivi da entrambi le parti sono stati diversi e ovviamente personali, non
serve spiegarli né comprenderli, ognuno ha i propri e forse sono tutti validi.
Però avere risultati nello sport, non può essere solo una “speranza”, quel che serve è “l’azione” anche se costa fatica, sacrificio e dispiacere. E loro hanno preso su il loro sacchetto di responsabilità e hanno agito. E questo è quello che vale la pena raccontare...
C’era una
volta i tre moschettieri, ragazzi che nel loro ambiente, nella loro palestra
erano appunto i “moschettieri”. Quelli che tiravano le file di un percorso
agonistico, che riportavano risultati, che emergevano un po’ dal gruppo che
venivano sempre coccolati e celebrati. Senza spocchia, senza vanti inutili né
privilegi, erano però consapevoli che se c’era una “gerarchia” forse loro la
guidavano. Erano forse nella situazione più comoda in cui tutti vorrebbero
stare, erano seduti su un “comodissimo divano” da dove forse nessuno si sarebbe
mai alzato.
Due di
loro lo hanno fatto, con convinzione e senza remore e per cosa?
Per andare
a finire in un posto dove ora sono gli ultimi della fila, quelli più indietro
di tutti, quelli, detta in malo modo, “più scarsi”, quelli che prima di
raccogliere successi dovranno sgobbare e che in qualche modo dovranno ripartire
da zero. Ora nei loro allenamenti hanno a fianco chi ne sa più di loro, su
tutto e sempre…chi, se lo volesse, potrebbe guardarli dall’alto in basso perché
stanno ad anni luce di distanza, compagni di squadra che li hanno accolti sì ma
che vivono su un altro pianeta perché sono dei “mostri” al loro confronto.
E tu li
senti parlare e ti dicono che questa per loro è una fortuna e che di fianco a
chi ne sa più di loro imparano due volte. Non importa se sono gli ultimi,
importa che ci sono. Stanno lì in fondo alla fila, più umili di prima, con il
loro sacco in spalla, in silenzio e con lo sguardo basso a fare l’ape operaia,
quella che deve ricominciare da capo, quella che fa il lavoro duro, sporco e
senza le luci del palcoscenico.
Se gli chiedi
“ma chi ve l’ha fatto fare?”, ti rispondono che loro sono felici che hanno un
sogno e che gli sono semplicemente corsi dietro. Non importa come sarà la
strada, dei sassi che ci saranno e del fatto che saranno soli e a piedi nudi.
Loro hanno lasciato il “posto fisso” per aprirsi la “partita iva”, …li ascolto
con orgoglio e uno di loro è mio figlio…quanti adulti saggi e maturi ne
sarebbero stati capaci?
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