TATAMI



Questa è solo la “fine” di una storia iniziata “appena qualche anno fa”. Per raccontarla tutta occorrerebbe riavvolgere il nastro ma ci vorrebbe troppo tempo e non renderebbe comunque l’idea.

Chi sono questi tre ragazzi?

Uno, lo sapete, è Leo, quello che ai tempi dell’apertura di questo blog, chiamavo “Cicino” perché appena nato pesava come una filetta di pane e che ora invece, a stargli accanto, pare una montagna.

Gli altri due sono i suoi fedeli compagni di squadra con i quali, anni fa, ha iniziato una bellissima avventura.

In questa foto sono in Austria, sopra il secondo gradino di un podio mondiale, ma questo in realtà è solo un dettaglio perché la storia interessante da raccontare, è quella successa prima e ciò che conta, sta tutto dietro le quinte di questo scalino color argento. 

È la storia che li ha trasformati nei tre moschettieri, quelli che lasciano il segno ad ogni scoccata. 

È la storia di quello che nessuno crede essere uno sport di squadra: il karate. 

È la storia di tre ragazzi che messi davanti ad un muro scavalcano e saltano di là. Sempre.

È una storia bellissima che ho avuto la fortuna di vedere passo per passo e di questo sono profondamente grata a un sacco di persone: ai loro allenatori che l’hanno pensata, ai genitori di questi ragazzi che l’hanno appoggiata e soprattutto a loro tre che l’hanno scritta.

Il “finale” di questa storia è in questa foto.

Per il resto onore e inchino agli avversari: l’indomabile Repubblica Ceca, l’entusiasmo portoghese, la disciplina tedesca, la determinazione romena, il colorato Sud Africa e a tutte le altre nazioni del mondo presenti, che su quel tappeto hanno dato battaglia.

E ora che tutto è finito, le luci sono spente e i palazzetti chiusi, il tatami torna lì smontato pezzo per pezzo uno sopra l’altro. Come una torre, un guardiano, come l’arbitro più severo e implacabile.

Siamo tornati a casa e loro sono stati catapultati dentro la scuola al volo. Dal tappeto al banco in meno di 24 ore, e non c’è tempo nemmeno di rifletterci.

È ora di disfare il sacco, ripiegare le cinture e lavare i karategi ma bisogna farlo in fretta perché mancano solo due settimane alla prossima gara, quella che sognano da mesi.

Arrivo e partenza, fine e inizio. Il giro ricomincia e mentre sono qui che ci penso fissando il sacco mezzo vuoto, mi distrae un ticchettio, leggero ma ritmato. Mi volto, Teresa è lì appoggiata alla sbarra sulle punte…sta provando…come sempre, è di fronte ad un altro anno accademico e mi incanto a guardarla perché è bravissima…ecco io lo so, sono nata per questo, per prepare sacchi, lavare divise, guardarli sudare affinché le loro storie vadano avanti, e provare ogni volta un colpo ad un cuore già malandato, ma sempre con la speranza di vedere ancora il tricolore sventolare.

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