Ultimamente sono diventata una di quelle brutte persone del “Si stava meglio quando si stava peggio” o peggio ancora “Quando avevo la tua età…” e "Basta con questo telefonino"... e ogni volta che pronuncio queste frasi me ne vergogno un pò perché da ragazzina le odiavo ed ora invece fanno parte del mio DNA.
In più ogni volta i miei figli mi guardano con un espressione mista tra il divertito e il perplesso come se fossi uscita da un museo.
Mi dilungo a raccontare con nostalgia di cos'erano le musicassette, delle cabine del telefono, del juke-box, del telefono con la rotella e che in estate noi "stavamo a casa" perché quello era il nostro mondo: le strade, le piazze, il cortile, i campi dove ogni giorno si viveva senza avere un piano.
Non mi capiscono, lo so, lo vedo, dai loro occhi distratti e dubbiosi, a tratti disinteressati, pronti a sganciarsi prima possibile da questa mamma noiosa e di un altro pianeta, ma io ci provo lo stesso, insisto, racconto e semino le mie storie, sperando che prima o poi qualcuna metta radici.
L’estate di ieri e quella di oggi: due mondi, due satelliti, due galassie.
Quelle di una volta: improvvisate,
fatte di amici, biciclette scassate e ghiacciolo per merenda, dove uscivi la
mattina in ciabatte e ritornavi al calar del sole, dove l’unico telefonino era
l’eco di tua madre che ti chiamava dalla finestra e dove “Vieni a tavola” era
l’unica notifica che ti arrivava durante il giorno. L’estate dove anche per i tormentoni musicali occorreva avere talento e
dove uscivi per “vedere chi c’era in piazza”, con il cielo come unico cloud.
Quelle di oggi: piene di App,
centri commerciali, dove uscire senza WI FI è un' estrema prova di coraggio,
dove è tutto così pieno e programmato che anche il divertimento ha un orario. Dove
si fanno le foto per aggiornare lo stato, dove si viaggia per far vedere dove
sei e dove siamo stanchi morti senza aver fatto nulla.
E mi dispiace un po’. Perché so,
sono certa, che si stanno perdendo qualcosa, qualcosa che non si scarica e che
non si posta, qualcosa che è “libertà”, di non sapere, di perdersi, di
immaginare e anche di annoiarsi.
Alla fine non è neanche colpa
loro, è il mondo dove sono nati che gira così, e non si tratta nemmeno di dire
che “prima era meglio” basterebbe solo sapere che “prima era diverso” e che ci
sono cose che meriterebbero di essere ritrovate, come l’abitudine di vivere
senza doverlo dimostrare a nessuno.
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