Non stiamo parlando della mia ovviamente, perché in anni di viaggi ne avessi mai azzeccata una, ma il fatto è che alla fine a me fare la valigia non piace e questo è il risultato.
Sono sì bravissima a preparare
quella dei miei figli, il Principe ovviamente se la spiccia da solo e tira
fuori ogni volta un guardaroba così abbinato da poter andare in passerella,
mentre la mia, pare uno di quei banchi da mercato con la roba arruffata ed il
cartello “tutto a €5” con me che ci rovisto dentro nella disperata ricerca di
qualcosa che non mi faccia assomigliare alla mamma di Ludovica Donato.
Il problema principale di questa disfatta lo so, sta nel fattore tempo,
cioè in quelle misere manciate di minuti che impiego per farla e anche dal fatto che aspetto sempre l’ultimo momento. L’ora prima al massimo due.Il fatto poi che aspetto sempre l’ultimo minuto, dipende dall’altro fatto che fare la valigia a me non piace.
E il fatto che non mi piace farla, dipende dall’altro
fatto ancora che pur conoscendo quali siano le regole della “valigia perfetta”,
io amo trasgredire e preferisco vedere fino a che punto so cacciarmi nei guai
da sola, buttando dentro roba a casaccio.
Mi rendo pure conto che alla base faccio un ragionamento sbagliato, al contrario: non mi chiedo cosa sarebbe bene portare, ma mi soffermo invece su quello che non mi dovrebbe servire e che quindi è meglio lasciare a casa.
Il risultato è che non c’è mai stata una volta
in cui non abbia portato con me l’inutile e lasciato a casa l’indispensabile.
Diventare mamma mi ha migliorato un po’ ma solo per quanto riguarda il loro bagaglio, non il mio, e comunque si tratta pur sempre di passi minimi e non costanti, quasi insignificanti.
Quel
che rimane certo è che io LA VALIGIA LA SBAGLIO.
Io la valigia preferisco
disfarla, perché li è semplice: basta mettere al proprio posto ciò che sta
dentro senza pensarci su. Non c’è da scegliere o da ragionare, non richiede un
impegno mentale o un lavorar di logica, è pura attività manuale mentre
prepararla è tutto un altro par di maniche.
Forse dovrei elaborare una
strategia, un capacity planning, e questo post di riflessione potrebbe segnare il
primo passo oppure lasciare che siano gli altri a pensarci al posto mio, oppure semplicemente
rassegnarmi all’evidenza e affidarmi al caso, optando magari per posti dove non
mi conosce nessuno.
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